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Camilla Guiggi

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“E chiare sere d’estate, il mare, i giochi, le fate…” e la voglia di un calice da bere insieme è sempre più grande.

Arriva il caldo, le sere si fanno più lunghe, la voglia di leggerezza è nell’aria, il ritrovarsi con gli amici chiama calici di bollicine eleganti e raffinate.

Ecco che Cesarini Sforza ci propone la sua “Linea 1673” un omaggio alla nobile casata. Quattro sono le perle che compongono la “Linea 1673” che parla di vini i cui aromi sono l’espressione più varietale dello Chardonnay e del Pinot Nero coltivati nella Valle di Cembra. Profumi eleganti, fruttati e floreali con mineralità e sapidità che richiamano i terreni ricchi di porfido.

La bella stagione si fa complice di spensieratezza, voglia di dehors, di amicizia e di brindisi con calici, brillanti e vibranti, con fili di perle che giocano nel bicchiere.

Il richiamo della terra e delle proprie origini è qualcosa che non si può spiegare, è un richiamo a cui è difficile resistere. C’è sempre un filo invisibile che lega tutti alla propria terra e il desiderio di conoscerla è sempre presente.

Nati a New Orleans e cresciuti tra gli Stati Uniti e la Svizzera, Aldo e Paolo Rametta, per riconnettersi alle radici familiari ed uniti dalla passione per il vino decidono di tornare “a casa”; così, nel 2016 nasce Poggio della Dogana, una tenuta vitivinicola sulle colline di Castrocaro Terme-Terra del Sole e Brisighella.

Nel 2020, il progetto enologico si completa con l’acquisizione di Ronchi di Castelluccio, a Modigliana, fondata nel 1974 da Gian Vittorio Baldi, che insieme ai tecnici Vittorio Fiore e Remigio Bordini e alla consulenza di Luigi Veronelli – diedero vita al primo progetto di zonazione regionale e tra i primi in Italia, privilegiando la qualità alla quantità produttiva.

La Maremma Toscana è custode di meravigliose realtà vitivinicole, ne è un esempio Monteverro.

Tutto nasce dalla lungimiranza dell’imprenditore tedesco Georg Weber, che agli inizi degli anni Duemila ha scelto un territorio ancora inesplorato ai piedi del borgo medievale di Capalbio, con la voglia di creare dei vini che lo rispecchiassero.

Sbalzi termici e la vicinanza del mare fanno si che si crei un microclima particolare per lo sviluppo del corredo aromatico mentre il terreno sassoso di argilla rossa regala forza e longevità ai vini.
Attualmente l’azienda può contare su trentacinque ettari vitati, i vitigni utilizzati sono principalmente quelli internazionali, d’origine francese, soprattutto del bordolese, ma anche provenienti dal Borgogna e dalla regione del Rodano. Ecco quindi il Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Petit Verdot, Grenache, Syrah, Merlot, Chardonnay e un po’ di Vermentino.  La consulenza esterna è di Michel Rolland, che ha dato le impostazioni iniziali al progetto e che continua a visitare l’azienda un paio di volte l’anno, ma è il team di cantina a vegliare sui vini e sulle vigne giorno dopo giorno, ecco quindi Matthieu Taunay e Simone Salamone, rispettivamente enologo e agronomo della tenuta.

Dal 1524 Villa Calcinaia è il cuore della famiglia Capponi, antica famiglia toscana che, nel corso dei secoli, è stata protagonista della storia di Firenze e del Chianti.

Sotto il nome “Capponi” la storia ascrive non solo Palazzi fiorentini ma anche ville e vigne, un racconto che incanta sapientemente narrato dal conte Sebastiano Capponi che, insieme ai fratelli Tessa e Niccolò, rappresentano la 37° generazione e continuano la tradizione occupandosi direttamente delle proprietà di famiglia. Tra queste troviamo Fattoria di Villa Calcinaia, sita a Greve in Chianti, circa duecento ettari, che da poco ha compiuto 500 anni.

Un traguardo importante che non poteva non essere festeggiato se non con una degustazione all’altezza, durante la quale è stata raccontata la storia del Chianti Classico e della famiglia Capponi nel corso dei secoli. Una storia che inizia con i primi documenti del1052 d.C., poi la Lega del Chianti, il periodo del Rinascimento, le Ville fiorentine fino all’acquisto di Villa Calcinaia. Immancabile l’accenno al Bando di Cosimo III de’i Medici il documento precursore delle moderne denominazioni d’origine e successivamente la nascita del Consorzio del Chianti Classico nel 1924, fino alla storia più recente della famiglia Capponi.

Degustare un vino di 100 anni…è davvero possibile?

Spesso si parla di vini storici, di vini che hanno fatto la storia, ma se fondiamo insieme questi due elementi otteniamo un vino che è esso stesso storia. Una storia liquida, la storia di un Azienda Tenuta di Capezzana, e di una famiglia Conte Contini Bonacossi, portavoce di una parte di Toscana con una tradizione vinicola a sé stante.

«La nostra famiglia è custode della nostra terra, dove le radici dell’arte di coltivare viti e olivi affondano in un passato millenario. È una tradizione preziosa produrre con amore vino e olio che raccontano un territorio meraviglioso da rispettare per lasciarlo integro alle generazioni future». questo si trova scritto sul loro sito… parole bellissime “custodi di un territorio”.

Un territorio, quello di Carmignano, dove i Medici e la nobiltà si rifugiavano per sfuggire al caldo fiorentino. Proprio qui troviamo il “Barco Reale” (o Barco Reale Mediceo) la riserva di caccia istituita dai Medici nel 1626 ed era delimitata da un muro di circa 50 km. Questa riserva, oltre ad essere la riserva di caccia dei Granduchi, aveva lo scopo di proteggere gli animali. Successivamente Cosimo III de’ Medici, granduca di Toscana, nel 1716 emise un bando in base al quale veniva stabilita una normativa ben precisa che regolava la produzione ed il commercio dei vini realizzati nei suoi possedimenti. Definì e di conseguenza tutelò, per la prima volta, quattro zone precise: il Chianti, il Pomino, il Carmignano e il Valdarno superiore, un’anticipazione delle denominazioni di origine controllata. Il documento, noto come “Bando Mediceo”, costituisce uno degli atti più importanti di Cosimo III e nello specifico identifica il Carmignano come quel territorio del “muro del barco Reale presso al fiume Furba”.

Le V del Vino cinque grandi vitigni: Verdicchio, Veltliner, Vermentino, Vernaccia e Viognier   Con il caldo e la bella stagione si iniziano a stappare vini bianchi perfetti grazie alla loro freschezza, leggerezza e capacità di accompagnare piatti estivi come insalate, pesce, frutti di mare e formaggi freschi. Non si differenziano solo per il colore, ma per tipologia, vitigno e vinificazione per regalare tante sfumature di profumi, sapori ed emozioni. E poi un vino bianco non fa sempre rima con semplicità, anzi troviamo vitigni bianchi importanti che sono stati affinati in legno o anfora o che, magari, hanno fatto macerazione. E chi ha detto che il vino è sempre serio e solo per professionisti? Il vino è prima di tutto, condivisione e convivialità. Magari si possono organizzare incontri a tema: per zona, per vitigno, per stile produttivo…ma anche per lettera. Proprio questo è stato il file rouge che ha legato…

Si è conclusa con grande partecipazione la Convention nazionale 2025 dell’Associazione Le Donne del Vino, che ha accolto oltre cento produttrici, imprenditrici e professioniste del settore vitivinicolo da tutta Italia. Dal 15 al 18 maggio, l’Abruzzo ha ospitato quattro giornate ricche di incontri, visite alle cantine locali, workshop e momenti di confronto, con l’obiettivo di rafforzare la rete tra le socie e riflettere sulle sfide future del mondo del vino, puntando su innovazione, sostenibilità e comunità. Il programma ha offerto un itinerario esperienziale attraverso le quattro province abruzzesi, tra luoghi suggestivi e aziende simbolo dell’eccellenza enologica regionale. A Chieti, cena sul mare al Trabocco Punta Cavalluccio; a Pescara, tappa alle cantine Chiusa Grande con una masterclass sul Cerasuolo d’Abruzzo tenuta da Adua Villa, e visita alle storiche cantine Bosco Nestore. Il percorso è proseguito a L’Aquila con un approfondimento sul Montepulciano d’Abruzzo a cura della sensorialista Manuela Cornelii, e si…

LE DONNE DEL VINO DI LOMBARDIA propongono CONFERENZA CON DEGUSTAZIONE “CALICI IN CORSA…STORIE DI VINO E COSCIENZA” riflessioni guidate al Museo delle Miglia

In un mondo in cui le passioni si intrecciano con la scienza, tre universi apparentemente lontani –
vino, motori e medicina – trovano sorprendenti punti di contatto nell’evento ideato e promosso
da Le donne del vino di Lombardia, nella prestigiosa sede del Museo delle Mille Miglia di Brescia.
Il vino, simbolo di convivialità e cultura millenaria, racconta storie di terre fertili, mani esperte e
tempo che scorre lento. I motori, ruggenti e precisi, rappresentano il progresso, l’adrenalina, la
sfida costante contro i limiti della velocità e della meccanica; Brescia è custode di una tradizione
unica, con la storica gara delle Mille Miglia, in programma proprio dal 17 al 21 giugno, iniziativa
che oggi è candidata a patrimonio culturale immateriale dell’umanità all’Unesco.
La medicina, infine, è il cuore pulsante della conoscenza applicata alla vita, la custode del
benessere e la guida silenziosa nel cammino dell’umanità verso la salute.


L’evento bresciano de Le donne del vino di Lombardia, incardinato su queste tre tematiche che si intrecceranno durante la serata, si terrà il 19 giugno, presso il Museo Mille Miglia
(via della Bornata, 13 Brescia).

Una passione di famiglia, cinque generazioni votate alla terra ed ai suoi frutti per la realizzazione di vino che trascendono le normali tecniche di vinificazione. Questa è Pratello un’Azienda Agricola che nasce alla fine dell’800, nei pressi di Brescia, a Pedenghe sul Garda, dal desiderio di Vincenzo Bertola, portavoce del sapere di famiglia. Egli riuscì a trasformare e valorizzare un territorio ancora agli inizi della propria definizione con visione lungimirante.

Di padre in figlio, custodi di preziosi gesti e competenze nella lavorazione della loro terra e valorizzazione dei suoi frutti. Oggi in azienda troviamo l’ultima generazione, Naike e Nathan, sempre supportati dai genitori. Pratello, infatti, significa innanzitutto Famiglia. Ogni membro ha la propria mente, le proprie passioni e il proprio cuore: caratteri distinti, competenze e passioni differenti che vengono uniti dall’amore per l’azienda e per il loro territorio.

“Coltivo vigne e produco vini a Cavaion Veronese, nel cuore della zona di produzione del Bardolino. La mia prima vendemmia è il 1984. Fin da piccola a casa sentivo parlare di vigne e di vini e ricordo ancora i mesi di ottobre in cui, dopo la scuola, si andava a vendemmiare. Sono sempre stata affascinata da questo mondo scandito dalle stagioni e così è maturato il desiderio di farne parte, di contribuire, sapendo ascoltare la vigna e la terra, a far nascere vini miei” così si presenta Matilde Poggi, sul sito della sua cantina Le Fraghe.

Una vignaiola forte e indipendente che non segue le mode, ma va dritta per la sua strada. Il vino che produce, in primis, deve piacere a lei rigida giudice di sé stessa. Una vita all’insegna del “rosa” che non vuole esser il dolce e delicato colore, ma portavoce della famiglia. Ròdon è il nome del suo primo vino rosato. Ròdon, in greco antico, significa “rosa”: un colore, un fiore e un nome. Infatti, la madre di Matilde si chiamava “Rosa” e prima ancora una cara zia. Un filo di memoria che si intreccia alla terra, all’uva per terminare nel vino.